AMORI
E ALTRI DISASTRI
Dopo i toni cupi, a tratti anche cupissimi di «Homo Homini Lupus», ecco una rassegna molto più rilassante, con titoli a tratti anche apertamente divertenti, che parte dagli amori (Loving, Il colore nascosto delle cose, L’inganno) e, dopo avere ceduto il passo al giallo (Finché c’è prosecco c’è speranza) e all’intrigo più spinto (La ragazza nella nebbia), approda a titoli più variegati (L’altra metà della storia, Una donna fantastica, Mr. Ove, Easy), alcuni dei quali con il carattere indubbio del capolavoro (Happy End). Il tono prevalente della rassegna ritorna ad essere quello consueto dell’intrattenimento garbato e intelligente, anche se basta il film di Haneke a ricordare che il grande cinema e i grandi autori hanno anche il dovere di fare riflettere.
Mercoledì 8
Novembre
Loving
di Jeff Nichols
(USA, 2017)
«Dio non ha certo messo gialli, bianchi e neri in continenti diversi perché si mis-chiassero le razze». Lo si legge nelle carte processuali della Virginia della fine degli anni Cinquanta, quando le unioni miste erano ancora punite con il carcere. E' a una di queste unioni che il film è ispirato. Richard, il protagonista, è bianco e schivo; fa il muratore e si diletta a mettere mano ai motori delle automobili. Mildred, la donna di cui è innamorato, è di colore e solare e ricambia il suo sentimento. Sono entrambi nati e cresciuti in Virginia, ma, quando decidono si sposarsi, devono farlo nello stato di Washington, perché le leggi della Virginia non consentono matrimoni misti. Rientrati nella contea natia per costruire la loro vita insieme, i due, però diventano le vittime di una persecuzione folle, basata sulla regola secondo cui l'amore interraziale contravviene l'ordine, la pace e la dignità sociale. Al bianco Richard e alla nera Mildred, così, non resta che dichiararsi colpevoli e accettare l'esilio in un altro stato. Il loro caso, alla fine, arriverà davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti e porterà all'abrogazione del “Racial Integrity Act”, un proclama della Virginia varato negli anni Venti e ancora in vigore alla fine degli anni Cinquanta quando altrove, lì vicino, già si respirava l'aria libera del rock e della contestazione. Una storia semplice di ordinario razzismo raccontata e filmata con grande delicatezza, poche lacrime ma visi che trasmettono emozioni immagine dopo immagine. Del regista, Jeff Nichols, al Capitol si sono già visti i precedenti Take Shelter (2011) e Mud (2012).
Mercoledì
15 Novembre
Il colore nascosto
delle cose
di Silvio Soldini
(Italia, 2017)
Teo (Adriano Giannini) è un uomo in fuga. Fugge dal suo passato, dalla famiglia di origine, dai letti delle donne con cui passa la notte e da cui scivola fuori alle prime luci del giorno, dalle responsabilità. Ha una relazione con Greta ma non disdegna le attenzioni di altre donne. In pratica, l'unica cosa che veramente ama è il suo lavoro. Fa il “creativo” per un'agenzia pubblicitaria e non stacca mai: tablet e cellulari lo tengono in perenne e com-pulsiva connessione con il mondo. Emma (Valeria Golino) ha perso la vista a sedici anni, ma non ha lasciato che la sua vita precipitasse nel buio, l'ha riacchiappata, ha fatto a pugni con il suo handicap e l'ha accettato. Fa l'osteopata e gira per la città col suo bastone bianco, autonoma e decisa. Si è da poco separata dal marito e Teo, brillante e scanzonato, che co-nosce come paziente, sembra la persona giusta con cui concedersi una distrazione. Per Teo, invece, tutto nasce per gioco. Emma, infatti, è diversa da tutte le altre donne che ha incontrate, così è ad un tempo attratto ed impaurito dal suo mondo. Una ventata di leg-gerezza, comunque sia, sorprende entrambi, anche se il loro galleggiare in allegria finisce bruscamente. Ognuno, così, torna alla propria vita, anche se niente sarà più come prima. Silvio Soldini è arrivato al soggetto passando attraverso un documentario, Per altri occhi (2013), girato sul mondo dei non vedenti. Di lui, però, si ricordano soprattutto le comme-die interpretate da Licia Maglietta, Pane e tulipani (2000) e Agata e la tempesta (2003). Chi le ha viste sa di che pasta è fatto il suo cinema.
Mercoledì
22 Novembre
L’inganno
di Sofia Coppola
(USA, 2017)
All'origine c'è un romanzo di Thomas P. Cullinan del 1966, già portato sullo schermo nel 1971 da Don Siegel, con protagonista Clint Eastwood. Siamo in Virginia, nel 1864, in un collegio femminile rimasto quasi del tutto abbandonato e isolato a causa della guerra di secessione. Le uniche persone che ancora ci vivono sono la direttrice, una maestra e cin-que studentesse, che si sono adattate a vivere da sole e nascoste chiudendo fuori il resto del mondo. A destabilizzare il loro microcosmo giunge però un soldato ferito che, accolto nelle quiete stanze dell'austera magione, viene dapprima amorevolmente accudito e poi, quando la sua presenza diventa troppo divisiva, elegantemente estromesso. Nel ruolo che fu di Clint Eastwood ritroviamo Colin Farrel, mentre il cast femminile annovera Nicole Kidman nel ruolo che fu di Geraldine Page. Figlia d'arte, Sofia Coppola vanta un pal-mares degno del cognome che porta: Lost in Translation (2003) ha vinto l'Oscar per la migliore sceneggiatura, Somewhere (2010) il Leone d'Oro al Festival di Venezia, que-st'ultimo L'inganno la Palma d'oro per la migliore regia al Festival di Cannes. Il suo ci-nema esangue può piacere o non piacere, ma, sulla carta, era difficile immaginare un sog-getto più vicino alla sensibilità della regista del romanzo di Cullinan. Il risultato si colloca, nella filmografia dell'autrice, accanto alla sua opera d'esordio, Il giardino delle vergini suicide (1999) e, per ciò stesso, lontanissimo dall'adattamento ben più ruvido che ne fece Don Sigel, autore di tutt'altra grazia.
Mercoledì
6 Dicembre
La ragazza nella
nebbia
di Donato Carrisi
(Italia, 2017)
Nel paesino montano di Avechot scompare una ragazza dai lunghi capelli rossi A occuparsi del caso è l'ispettore Vogel (Toni Servillo), che ha una reputazione professionale da salvare e una discutibile propensione a fare leva sui mass media. I sospetti cadono sul professor Martini (Alessio Boni), un insegnante di liceo trasferitosi da poco nella piccola comunità, ma la scoperta di altre sparizioni analoghe rimescola le carte in tavola. L'epilogo, spiazzante, restituisce coerenza, da un lato, alla vicenda narrata e, dall'altro, alla narrazione alquanto frammentata che caratterizza la messa in scena. Il film, infatti, si apre con l'auto di Vogel che finisce in un fosso. L'uomo, pur essendo uscito incolume dall'incidente, ha i vestiti ricoperti di sangue e non ricorda nulla delle ultime ore. Uno psichiatra (Jean Reno) lo aiuta a ritrovare la memoria, ed è così che apprendiamo della scomparsa della sedicenne Anna Lou, delle ricerche per ritrovarla e delle indagini condotte da Vogel. Tratto da un best-eller di Donato Carrisi che ha venduto più di tre milioni di copie, il film è diretto dallo stesso Carrisi, che per la prima volta si cimenta dietro la macchina da presa. Il risultato è un film dai toni vintage, immerso in una atmosfera misteriosa e spettrale, in cui trionfa l'ambiguità dei personaggi: quella di Vogel e del prof. Martini, in primis, ma anche quella dello psichiatra interpretato da Jean Reno, che non si capisce bene se voglia aiutare Vogel a fare riaffiorare i ricordi o semplicemente incastrarlo. La regia, coraggiosa e creativa, e gli ottimi interpreti, conferiscono al film una confezione ambiziosa.
Mercoledì
13 Dicembre
Finche c’è prosecco
c’è speranza
di Antonio Padovan
(Italia, 2017)
Siamo nella campagna veneta, nelle splendide colline del Prosecco. L'ispettore Stucky (Giuseppe Battiston), è chiamato a indagare su di un apparente caso di suicidio, quello del facoltoso conte Desiderio Ancillotto, che si è tolto la vita con un gesto teatrale e improvviso. L'uomo, appena promosso, con fare placido e pacioso tenta goffamente di portare avanti le indagini, schiacciato dall'inesperienza e dalla complessità di una vicenda che si rivela molto più intricata di quanto non sembrasse all'inizio. Tra filari e bollicine, l'improbabile ma tenace ispettore si confronta con bottai, osti e confraternite di saggi bevitori giungendo a convincersi che la chiave per risolvere il mistero passa per la cantina del conte, tra vetro, sughero, alcool e lieviti addormentati. Diretto con chiarezza di idee da un giovane regista esordiente, il film porta per la prima volta sullo schermo l'ispettore Stucky, personaggio creato da Fulvio Ervas, metà persiano e metà veneziano, cui lo scrittore ha dedicato diversi libri. Tra i pregi del film la straordinaria location fatta di splendidi casolari e vitigni a perdita d’occhio, certi interni suggestivi, come la stessa abitazione di Stucky, che cela una stanza abitata dal padre custodita come se fosse una reliquia, e il tono leggero della messa in scena. Un piccolo grande film italiano che, per ambizione e modalità produttiva, fa da contraltare a quello di Carrisi senza sfigurare troppo e che, alla fine, va giù co-me un sorso di prosecco. Esperienza, questa, che alla fine del film sarà offerta agli spettatori.
Mercoledì
10 Gennaio
L’altra metà
della storia
di Ritesh Batra
(GB, 2017)
Tony (Jim Broadbent) è un anziano signore inglese ormai in pensione. Separato dalla moglie, passa il tempo in un piccolo negozio in cui vende e ripara vecchie macchine fotografiche. La figlia è incinta e, anche se la sua maternità è il risultato di una inseminazione artificiale, perché la donna non vuole aver un partner, il tutto non sembra turbare più di tanto né il padre né la madre. Un bel giorno, però, un po' come accadeva in 45 anni di Andrew Haigh, Tony riceve una lettera da uno studio notarile che l'informa che la madre di una sua fiamma dei tempi del liceo gli ha lasciato in eredità un diario. Il passato, così, torna ad affacciarsi nella vita dell'uomo svelando il modo maldestro con cui egli, per al-leggerirsi la coscienza, ha sedimentato i propri ricordi. Diretto dal regista indiano Ritesh Batra, rivelatosi con Lunchbox (2013) e autore anche del più recente Le nostre anime di notte (2017), prodotto da Netflix e interpretato da Jane Fonda e Robert Redford, il film è tratto da un best-seller di Julian Barnes del 2012, La fine della storia, in cui la vicenda rimossa affiora da un lungo monologo interiore del protagonista. Adattarlo per lo schermo non era facile, e il regista indiano ci riesce solo a metà. La sua narrazione, leggera e malinconica, da vita ad un film garbato e gentile in cui, l'alternarsi tra il presente e il pas-sato, svela alla fine le manomissioni della memoria di Tony. Nella seconda parte, però, il film sembra più un giallo che non un flusso di coscienza che, alla fine, lascia l'uomo nudo di fronte alle proprie colpe, il che tradisce in parte l'originalità del libro.
Mercoledì
17 Gennaio
Happy End
di Michael Haneke
(Francia, 2017)
A cinque anni da Amour, doloroso ritratto di un'anziana coppia ridotta al lumicino della vita dal procedere impietoso dell'Alzheimer, Michael Haneke torna a proporci la sua visione sempre più pessimistica dell'uomo e della storia. Il contesto, questa volta, è quello di una famiglia dell'alta borghesia di Calais sull'orlo di una crisi di nervi. Il padre (Jean-Louis Trintignant), un facoltoso uomo d'affari ormai anziano, vuole solo farla finita. La figlia (Isabelle Hupper), che ha ereditato la gestione dell'azienda di famiglia, e il figlio (Mathieu Kassovitz), che fa il medico, annaspano. I nipoti, da parte loro, non ci stanno con la testa: il maschio, un trentenne sbandato e violento, si consuma tra alcool e vita notturna; la femmina, una tredicenne dal viso angelico e dal cuore di tenebra, riprendere freddamente quanto accade con la telecamera del suo telefonino riducendo a questo solo atto la propria capacità di incidere sulla realtà. L'unico che ha davvero uno scopo in questo universo di sentimenti spenti e di apatia esistenziale è il vecchio, che non esista a cercare la complicità della giovane nipote pur di mettere fine non tanto alla sua esistenza ma a quella di un mondo, quello in cui è ancora costretto a vivere, che si sta spegnendo senza rendersene conto. Con alle spalle una filmografia coerente e disturbante, Haneke sembra volersi congedare senza rimpianti dal mondo come il suo protagonista. Lo fa con un film spietato, per nulla consolatorio, in cui è difficile non leggere un testamento.
Mercoledì
31 Gennaio
Una donna
fantastica
di Sebastian Lelio
(Cile, 2017)
Orlando, un ultra cinquantenne imprenditore tessile, ha un malore. La sua compagna, Marina (Daniela Vega), di venti anni più giovane, lo porta all'ospedale e avvisa l'ex moglie. L'uomo, però, non ce la fa, e l'ex moglie pretende che Marina si tenga lontana dalle esequie. Non perché sia l'amante di Orlando, ma perché è un transgender. Marina, così, si ritrova sola contro il mondo, soprattutto contro l'odio cieco e feroce della famiglia di lui. Sebastián Lelio è uno degli sguardi più interessanti del cinema sudamericano contemporaneo. Cileno, talento purissimo, amico di Pablo Larraín, che gli fa anche da produttore, si è guadagnato la ribalta internazionale con l'acclamato Gloria (2013), ritratto femminile di insolita e lucida vitalità su di una donna tutt'altro che disposta ad arrendersi al tempo che passa. La stessa forza, visiva ed emotiva, si respira anche in quest'ultimo Una donna fantastica, premiato per la miglior sceneggiatura all'ultimo Festival di Berlino. Un film militante, che parla di sessualità e di diritti, ambientato in una società moderna nei comfort, nelle architetture e nelle tecnologie, ma che nei rapporti umani rimane ancora arroccata su schemi antiquati. L'interprete, Daniela Vega (una forza della natura, oltre che vera transgender) da corpo al ritratto di un personaggio spinto da una insopprimibile voglia di trovare un posto nel mondo, di definirsi, di farsi valere malgrado i tanti ostacoli che la società gli mette di fronte. E’ il suo il cuore martellante del film, il corpo fiero di quest’opera coraggiosa.
Mercoledì
8 Febbraio
Easy - Un viaggio
facile facile
di Andrea Magnani
(Italia, 2017)
Isidoro, “Easy” per i familiari, ha trentacinque anni ed è stato una promessa dell'automobilismo fino a quando non ha cominciato a prendere peso. Imbolsito e spento, vive con la madre stordito dalla playstation e imbottito di antidepressivi. A dargli una scossa ci pensa cinicamente il fratello che, sfruttandone l'ingenuità e la passione repressa per la guida, gli chiede di accompagnare in Ucraina senza troppe formalità la salma di un operaio morto sul lavoro. Easy accetta l'incarico e, alla guida del carro funebre, parte alla volta dell'Ucraina. Il viaggio, neanche a dirlo, strapperà più di una risata allo spettatore. I guai cominciano alla dogana, dove, a causa della poca lucidità dovuta agli psicofarmaci, Easy esibisce i documenti del morto invece che i suoi. Successivamente, si lancia in una gara spericolata con una macchina sportiva, vince, ma perde l'orientamento; quindi, mentre è al telefono, gli rubano l'auto lasciandogli solo la bara, e così via. Quello del film “on the road” con feretro al seguito è meno originale di quanto si possa pensare (in passato, al Capitol, si sono visti: Viaggio verso il sole di Yesim Ustaogiu (1999), Una storia vera di David Lynch (1999), Silent Souls di Aleksej Fedorcenko (2010), tutti autentici capo-lavori), anche se l’esordiente regista riminese ha scelto toni ben più lievi per narrare la sua odissea. Il risultato è un film originalissimo, a tratti spiazzante, sorretto dallo sguardo stralunato, candido e assorto di Nicola Nocella, che per la sua interpretazione è stato premiato all'ultimo Festival di Locarno.
Mercoledì
14 Febbraio
Mr. Ove
di Hannes Holme
(Svezia, 2017)
Ove è un burbero cinquantanovenne ossessionato dal mantenimento dell'ordine nel proprio quartiere. In passato è stato anche presidente dell'associazione dei condomini, incarico che non ricopre più da tempo, il che non gli evita di continuare a fare le ronde e a sorvegliare con piglio poliziesco tutto il quartiere. Giorno dopo giorno, di buona mattina, conduce la sua inflessibile ispezione per assicurarsi che tutto sia in ordine e che le regole siano rispettate. Ce l'ha con tutti: con chi parcheggia l'auto fuori dagli spazi appositi, con chi sbaglia a fare la differenziata, con una tizia che gira con i tacchi alti e un cagnolino al guinzaglio, con il gatto randagio che continua a fare la pipì davanti a casa sua. Quando perde il lavoro, però, qualcosa, in lui, si incrina definitivamente. Decide così di suicidarsi per raggiungere la sua adorata moglie, che spesso va a trovare al cimitero, ma la sorte lo perseguita: quando sta per farlo capita sempre che qualcuno lo interrompa. Ci mancava solo la nuova vicina, una giovane iraniana che si è trasferita da poco ad abitare con il marito e i due figli nella casa di fronte, a darle il tormento. La donna, però, con la sua quieta invadenza riuscirà poco a poco a riscaldare il cuore di Ove, fino a fargli accantonare i propositi suicidi. Adattamento di un romanzo di Fredrik Backman, L'uomo che metteva in ordine il mondo, best-seller pubblicato in oltre trenta paesi, il film è stato premiato come migliore commedia europea del 2017 agli European Film Award e si è già guadagnato il remake americano non Tom Hanks nel ruolo di Ove.