HOMO HOMINI
LUPUS
Sei film per riflettere sulla natura dell’uomo, cinque dei quali durissimi, senza speranza. Non potrebbero essere più diversi, questi ultimi, da quello che apre la rassegna, che invece è ottimista e solidale con l’uomo, ma che è l’opera di un regista che vive fuori dal mondo in compagnia della sua bottiglia. Sei film che non fanno sconti a nessuno, anche se il primo, a dispetto del pessimismo del suo autore, mostra di credere ancora nell’uomo, nella sua capacità di riconoscere i propri simili e di essere, nonostante tutto, solidale. Sei film cupi, in cui a tratti è difficile tirare il fiato, ad eccezione del primo, che invece a tratti è anche divertente, con quello stile scanzonato e surreale che appartiene al regista. Si comincia con L’altro volto della speranza di Aki Kaurismaki, un regista che può essere una rivelazione per chi non lo conosce, tanto è peculiare la sua poetica autoriale. Questo film, che viene proposto in apertura della Festa multietnica «Il mondo dietro l’angolo», come dicevamo, è molto diverso dagli altri che lo seguono, a cominciare dal secondo e dal terzo, La vendetta di un uomo tranquillo di Raul Arévalo e Le ardenne di Robin Pront, che sono due crude storie di vendetta. Il quarto titolo, Codice criminale di Adam Smih, si incentra invece sulla dialettica tra un padre padrone e un figlio che vorrebbe rifarsi una vita lontano da lui, mentre il quinto, Neve nera di Martin Hodara, è cupissimo, davvero senza speranza. Il sesto, Baby Dryver di Edgar Wright, è quello più anomalo; incrocia le atmosfere del “crime” con un romanticismo d'altri tempi, con il cattivissimo di turno che, alla fine, ricorda a se stesso e al mondo che anche lui ha amato. Sei film da non perdere che, se ci si lascia guidare, possono essere altrettante tappe nel profondo dell’animo umano, dove l’uomo è lupo e a dominare sono i lupi.
Mercoledì
6 Settembre
Siamo a Helsinki, ai giorni nostri. Khaled è un rifugiato siriano che cerca asilo nel paese, anche se la domanda che ha presentato non ha alcuna possibilità di essere accolta. Wilkstrom è un commesso viaggiatore che vende cravatte e camice e che, dopo una vincita al gioco, decide di rilevare un ristorante fatiscente. I due uomini si incontrano e si aiutano l’un l’altro. Un film bizzarro e solidale di un autore che negli ultimi anni si è fatto sempre più complice dei migranti e dei diseredati. L’inizio ripropone l’insoddisfazione esistenziale che ormai appartiene alla condizione dell’uomo occidentale, con il protagonista che se ne va di casa lasciando la fede nuziale sul tavolo. Ci sono però ben altre tensioni che attraversano il mondo, e basta il volto nero del carbone in cui si è nascosto di Khaled per ricordarcelo. Dell’uomo, in fuga da Aleppo, dove la guerra gli distrutto la casa e sterminato la famiglia, apprenderemo la tragica odissea, comune a molti, oggi. Se però il dramma dei richiedenti asilo allude alla contemporaneità, dalle autovetture anni Sessanta all'arredamento del ristorante, tutto nel film rimanda al passato, quasi a dire che la modernità e le nuove condizioni di vita non scalfiscono gli elementi essenziali della condizione umana. I dialoghi, come sempre, sono scarni, lo sguardo, disincantato e ironico, la musica, un mix di brani vintage di rock e blues finlandese.
Mercoledì
13 Settembre
Un uomo, complice di una sanguinosa rapina a una gioielleria, finisce in carcere mentre gli esecutori materiali della rapina la fanno franca. Scontata la pena, quando esce dal carcere ad attenderlo c’è la sua compagna, suo figlio e il fratello della sua compagna, che gestisce un bar. Un uomo misterioso, ricco e pacato, che da qualche tempo frequenta lo stesso bar, ha però intessuto una relazione con la donna dell’ex detenuto e finisce per precipitare in un incubo la libertà che questi ha appena riguadagnato. Piano piano, le vere intenzioni dell’uomo misterioso si svelano, il che, d’altronde, è palese nel titolo italiano, che dice molto di più di quello originale, che è Tarde apra la ira, ossia “tardi per la rabbia”. Un thriller teso, pluripremiato in patria, che riconferma l’attitudine degli spagnoli per il genere, anche se resta inferiore al recente La isla minima di Alberto Rodriguez (2014) e al più datato La notte dei girasoli di Jorge Sanchez-Cabezudo (2006). Il regista, qui al suo esordio, era uno dei due interpreti principali del primo dei due film citati, il che si vede. Come La isla minima, il film, infatti, si mantiene fedele ai codici del genere, ma radica la vicenda narrata nella sordida periferia madrilena e nelle desertiche campagne circostanti imbevendola di una forte identità locale.
Mercoledì
20 Settembre
Dave è mite e ragionevole o, come lo definisce Sylvie, senza palle. Kenny è iracondo, violento e apparentemente irrazionale, anche se in realtà è dotato di una capacità istintiva, quasi animalesca, di valutare le situazioni e agire di conseguenza. Sylvie ha sposato il secondo e, quando questo è finito in prigione, ha intessuto una relazione con il primo, il che è aggravato dal fatto che Dave e Kenny sono fratelli. Dave e Sylvie, inoltre, non sono degli angioletti; erano complici di Kenny, anche se lui non li ha traditi e si è fatto tutta la galera da solo. I due, così, hanno pensato bene di rifarsi una vita: Sylvie ha smesso di drogarsi e, aspirando a una "vita noiosa", non è mai andata a trovare Kenny in carcere? Dave, da parte sua, ha trovato un lavoretto dignitoso, è sempre stato vicino al fratello ma non ha mai avuto il coraggio di dirgli quello che combinava con Sylvie. I nodi, però, prima o poi vengono al pettine, così, quando Kenny esce di prigione, Dave e Sylvie non sanno come fare a dirgli di loro. Kenny, però, non è uno che se ne sta con le mani in mano in attesa degli eventi, così il dramma è dietro l’angolo. Un noir cupo e disperato, avvincente e tesissimo, con un epilogo formidabile costruito su di un doppio colpo di scena che si consuma in pochi secondi che lascia basito lo spettatore. Il titolo originale, Les Ardennes, allude ai boschi delle Ardenne, dove si svolge la seconda, crudissima parte del film. Il riferimento ai “confini dell’amore” nel titolo italiano è del tutto fuorviante.
Mercoledì
27 Settembre
Chad (Michael Fassbender) conduce da anni un’esistenza ai margini della società, guadagnandosi da vivere grazie a furti occasionali e alla sua destrezza alla guida. Ormai non ne può più: non è questa la vita che vuole per lui, per sua moglie e per i suoi figli. Suo padre Colby (Brendan Gleeson), però, non sente ragioni e Chad non riesce ad affrontarlo e a dirgli di no. D'altronde, affrontare Colby è più facile da dire che a farsi. Sorta di padre-padrone premoderno, l’uomo teorizza che la terra è piatta e usa la religione come strumento di dominio. L’inizio e la fine sono potenti ed emblematizzano bene la parabola di Chad: estroso nell’inseguire con la macchina una lepre, rassegnato quando, braccato dalla polizia, si rifugia su di un albero. A tratti schizzato, dominato dai monologhi deliranti di Colby e dalle idiozie di Tyson, che terrorizza i bambini di Chad ma che Colby tratta più amorevolmente del figlio, un film in cui la relazione tra padre e figlio può ricordare Affliction di Paul Schrader (USA, 1997), anche se non ne può vantare la solennità biblica. Il titolo originale, Trespass Against Us, è tratto dal “Padre Nostro” («forgive us our trescases as we forgive those who trespass against us», ossia «rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori»), ed è di gran lunga più esplicativo del titolo italiano.
Mercoledì
18 Ottobre
Dopo l'improvvisa morte del padre, Marcos torna nel remoto paesino della Patagonia dove vivono la sorella Sabrina e il fratello Salvador, uomo granitico e taciturno, che non vuole sa-perne di vendere il terreno ereditato dai tre a una grossa impresa petrolifera, nonostante l'ingente somma di denaro offerta. Sui tre fratelli, come si apprenderà, grava un misterioso incidente di caccia avvenuto molti anni prima, quando gli equilibri familiari vennero sconvolti dalla morte del quarto fratello, colpito a morte da un colpo di fucile alle spalle la cui responsabilità cadde su Salvador, ma da cui anche Sabrina ne uscì scon-volta, tanto da finire ricoverata per anni in un istituto psichiatrico. Alla morte del patriarca, i vecchi fantasmi riaffiorano, e anche la moglie di Marcos, l'unica estranea alle dialettiche familiari, finirà per essere travolta in una tragedia in cui i personaggi sono ine-sorabilmente spinti verso il loro decadimento morale. Fotografato benissimo, ambientato in un suggestivo paesaggio invernale d'alta montagna, il film incrocia le atmosfera del thriller psi-cologico con un cupo dramma familiare in cui, prima ancora dei flashback, sono i silenzi e gli sguardi a svelare il fardello di una famiglia sgretolata. Vittime e carnefici, infatti, si confondono in una costruzione dei personaggi tesa a sottolineare quanto nessuno sia in realtà immune agli istinti più oscuri, il che, del resto, è riconfermato dallo choccante epilogo. Un film nerissimo, dominato dall’ipocrisia, in cui alla fine la morale dominante sembra essere quella dall’ambiguo titolare della segheria.
Mercoledì
25 Ottobre
Baby (Ansel Elgort) è un giovane, apparentemente autistico, perennemente immerso nella musica, il che gli attutisce un fastidioso ronzio che, fin da bambino, risuona nelle sue orecchie. Alla guida di un'auto, però, si trasforma: è in grado di compiere le più spericolate evoluzioni. Questa sua abilità viene sfruttata da Doc (Kevin Spacey), un criminale dall'aspetto borghese, stratega sopraffino, con il quale Baby ha un conto da saldare, che lo coinvolge come autista in rapine con complici sempre più violenti, a cominciare da Bats (Jamie Foxx), testa calda dal grilletto facile che si mostra scettico e diffidente nei suoi confronti. Baby, da parte sua, deve occuparsi di un anziano invalido, un uomo cui è molto legato e che lo ha fatto crescere e, da quando si è innamorato della cameriera di un fast food, vorrebbe cambiare vita. Il mondo che frequenta è senza riscatto e lo stesso Doc, a dispetto dei modi garbati, è pericoloso e vendicativo. Mescolando suoni e voci provenienti dal suo quotidiano Baby, però, riesce a stare sulle sue, a mantenere un'indole onesta e compassionevole e, soprattutto, a non perdere di vista quello che conta per lui. Sembra che lo spunto per il film sia un vecchio videoclip girato dal regista nel 2003, il che non sorprende. Quello che sorprende, al contrario, è l’impasto di crime story e di love story cui il regista è riuscito a dare vita.