IL TEMPO
CHE RESTA
Il tempo che resta è il tempo dei bilanci, il tempo del lutto, dell’abbandono, il tempo che si inceppa, che non passa più, il tempo che si riavvolge, che torna indietro, come in un flash back. E’ il tempo che non lascia respiro, che muove all’ansia, che presenta il conto. E’ anche il tempo dei rimpianti, dei sensi di colpa, perché è difficile farsi trovare preparati. Come poteva immaginare, lo svedese, incarnazione esemplare dell’american dreams, che la figlia sarebbe diventata una terrorista ? E Julieta, come può Julieta continuare a vivere come si niente fosse quando viene a sapere che sua figlia, che non vede da tredici anni, ha tre figli e vive sul lago di Como ? E cosa dire del protagonista di Demolition, che distrugge tutto pur di capire cosa non è andato nel suo matrimonio dopo che la moglie, improvvisamente, muore. O di Anna, che appresa la verità da Adrien, ne perpetua la menzogna ? Ma il tempo che resta è anche il tempo della memoria, il tempo dei ricordi. Che cos’è che spinge la nonna di Les Souvenirs a scappare dalla casa di riposo per tornare sui banchi di scuola dell’infanzia o il vecchio “folle” di Florida a volere andare in California ? I conti, poi, è ovvio, si fanno quando uno deve morire, come in Thruman, il che, oltre al morituro, costringe alla contabilità anche chi resta. Ma cosa dire di quando ci si ritrova per licenziare la “casa delle estati lontane”, titolo bellissimo e straordinariamente evocativo di un film il cui titolo originale è semplicemente Rendez-vous ? Veda e rifletta lo spettatore, perché il “tempo che resta”, in fondo, è il tempo di tutti noi.
Mercoledì
19 Ottobre
Julieta
di Pedro Almodovar
(Spagna, 2016)
Julieta sta per lasciare la Spagna per trasferirsi assieme al compagno in Portogallo. Sgombra la casa e riempie i cartoni di cose e ricordi, ma è difficile farci stare tutto. L'incontro casuale con un’amica d'infanzia della figlia, di cui la donna non sa più nulla da tredici anni, le scompagina i piani e manda a rotoli il fragile equilibrio apparentemente conquistato con il nuovo compagno. Sapere che la figlia ha tre bambini e vive nelle vicinanze del lago di Como, apre infatti una specie di voragine in Julieta, in cui non solo sprofondano le certezze acquisite ma riemerge anche un violento senso di colpa che la perseguita da anni. Quasi tutto il film è costruito intorno a un flash back che si dipana mentre Julieta scrive una sorta di lettera-diario alla figlia e viene narrato quasi sottovoce, attraverso il filtro dei ricordi. Veniamo così a conoscenza del rapporto di Julieta con Xoan, dell'amore travolgente che li ha legati in una casa a pochi passi dal mare, della nascita della figlia, dei rap-porti non semplici con la propria famiglia di origine e, infine, della tragedia che ne ha sconvolto la vita. Ispirato a tre racconti dI Alice Munro assemblati e condensati insieme, sebbene sia un film sul senso di colpa Julieta non è un melodramma ma una tragedia perché alla fine la dimensione della colpa non è legata ad azioni riprovevoli ma è quasi un marchio di fabbrica dell’esistenza, uno stampo che si salda ad un destino beffardo, ad un Fato in grado di spezzare anche i legami più forti e che ci ricorda una volta di più la nostra precarietà, l'essere letteralmente in preda alle correnti della vita.
Mercoledì
26 Ottobre
Florida
di Philippe Le Guay
(Francia, 2015)
Claude (Jean Rochefort) è un ricco ottantenne, ex capitano d'industria, affetto da altalenante demenza senile. Letteralmente intrattabile, rende la vita impossibile alla figlia Carole (Sandrine Kiberlaine) e alle colf che questa assume per accudirlo, il che fa sentire la prima in perenne stato di colpa sebbene sia talmente dedita al padre da trascurare buona parte della propria vita, pure sentimentale. L’uomo, in realtà,vorrebbe l'attenzione costante di tutti e, per ottenere ciò, si serve di qualsiasi mezzo, dal ricatto alle buffonate. Più di ogni altra cosa, però, Claude desidera raggiungere la figlia minore Alice, che crede sistemata in Florida, ma che in realtà è morta in un incidente stradale, lutto, questo, di cui Carole, passata al timone dell’azienda, l'ha sempre tenuto all'oscuro. L'inizio è leggero, ma la demenza che comincia a manifestarsi nel protagonista gli fa assumere poi toni drammatici, pur senza rinunciare allo humour. L’epilogo è poetico e quieto, vagamente malinconico ma non triste. Il protagonista, l’ultra ottantenne Jean Rochefort, ha uno sguardo che incanta, ora beffardo, ora perso nel vuoto. Il risultato è un altro tassello imperdibile nella filmografia di Philippe Le Guay dopo i deliziosi Le donne del 6° piano e Molière in bicicletta. Un film sottile e probo, che parla di dolore, demenza senile e altri disastri senza costringere lo spettatore a farne esperienza, ovvero con leggerezza, sensibilità e pudicizia.
Mercoledì
2 Novembre
Frantz
di Francois Ozon
(Francia, 2016)
Siamo in Germania, nel 1919; una giovane donna, Anna, si reca ogni mattina al cimitero per portare dei fiori sulla tomba del fidanzato, Frantz, morto in guerra e sepolto in Francia in una fossa comune. Al cimitero Anna incontra un giovane francese, Adrien, che si presenta come amico di Frantz, dice di averlo conosciuto a Parigi, prima dell'inizio della guerra, e che entrambi suonavano il violino. Anna, che vive come una figlia adottata in casa dei genitori di Frantz, invita il giovane a conoscere la famiglia dell’amico defunto e, dopo le prime resistenze, dovute soprattutto al padre, che accusa i francesi di avergli ucciso il figlio, la famiglia accoglie Adrien, che comincia anche a fare breccia nel cuore di Anna. Poi, improvviso, giunge il dramma. Girato in un bianco e nero molto morbido ed evocativo, simile alle foto d'epoca, con i flashback a colori, il film è l’adattamento di una piéce di Maurice Rostand che Ernst Lubitsch aveva già trasposto nel 1932. Rispetto all’adattamento di Lubitsch, però, Ozon opera un ribaltamento: Adrien, che nel film di Lubitsch rivelava senza indugio le ragioni del suo arrivo, qui dapprima mente, il che muta il tono del film e complica di gran lunga il melò, con Anna che, per di più, perpetua la menzogna di Adrien e costruisce una storia parallela per i genitori di Frantz. La giovane interprete di Anna, Paula Beer, è stata premiata all’ultimo Festival di Venezia come migliore attrice emergente.
Mercoledì
9 Novembre
Truman
di Cesc Gay
(Spagna, 2016)
Marie (Bérénice Bejo) e Boris (Cédric Kahn) hanno due belle e vispe bambine, ma sono in crisi. Forse un tempo si sono amati, ma ormai non si sopportano più. Discutono continuamente e, soprattutto, litigano a sangue sui conti che non tornano e impediscono loro di regolarizzare una volta per tutte la separazione. In attesa del divorzio, infatti, i due sono costretti alla coabitazione, perché Boris è disoccupato e non può permettersi un altro alloggio. Così lei, che è proprietaria dell'appartamento, detta le regole, mentre lui, che l'ha ristrutturato, le contraddice. Lui, che è a spasso, non perdona alla moglie di averlo lasciato, pretendendo una consistente buonuscita. Lei, che si occupa delle due gemelle, non sopporta i comportamenti infantili di lui. E così via: a parte i rari momenti di leggerezza imposti dalle bambine, recrimina-zioni a non finire. L'irritazione è palpabile, la sfiducia pure. Arroccati sulle rispettive posizioni, i due sembrano aver dimenticato del tutto il loro antico amore e i quindici anni passati assieme. Il titolo originale del film, L'économie du couple, ossia, “l'eco-nomia della coppia”, dice meglio della traduzione italiana qual è il vero nodo attorno cui ruota il film. Forse è amaro constatarlo, ma quando un amore finisce sono i conti economici a farla da padrone. Il denaro, cioè, diventa il mezzo più immediato per esercitare potere l'uno sull'altra, per fargli pagare il fallimento della relazione. Dramma borghese tutto girato in interni, con l’unica eccezione del finale aperto e all’aperto, Dopo l'amore è l'ennesima riuscita commedia d'oltralpe. Intensa e toccante, nonostante il mare di chiacchiere, e con in più due ottimi interpreti.
Mercoledì
16 Novembre
Domilition
di Jean-Marc Vallée
(USA, 2016)
Strampalato, ma anche toccante dramma sulle vicende di un uomo sconvolto dalla perdita della moglie, che pure non amava, Demolition è forse il miglior film di Jean-Marc Vallée, regista canadese noto soprattutto per avere diretto Dallas Buyers Club. Illeso nell'incidente d'auto che l'ha reso vedovo, il protagonista, un operatore finanziario di successo, da di matto. Dapprima, scrive lettere al servizio clienti di un ditta di distributori automatici. Il pretesto, è la mancata erogazione di una merendina negli stessi istanti in cui apprende della morte della moglie, il che lo spinge a sovrapporre il mancato funziona-mento del distributore automatico all’inesplicabilità della scomparsa della moglie. Poi decide di smontare la propria vita pezzo per pezzo, come si fa con un orologio o un altro oggetto d'uso, per vedere cosa c’è che non va. Comincia con il frigorifero, prosegue con una macchina per il caffè, quindi demolisce da cima a fondo la casa, che non è mai riuscito ad amare e che rappresenta la sua vita inautentica precedente il lutto. Frattanto, l’uomo ritrova un po' di serenità con l’addetta al servizio clienti della ditta di distributori automatici cui ha rivolto le sue missive, anch’essa alle prese con una relazione inautentica e madre di un ragazzo disturbato che all’inautenticità non vuole cedere Altri personaggi popolano il disagio dell’uomo, dal suocero indurito alla di lui moglie, donna indecifrabile che nel sottofinale svelerà all’uomo un inaspettato segreto della figlia.
Mercoledì
7 Dicembre
Les Souvenirs
di Jean-Paul Rouve
(Francia, 2015)
Romain ha ventitré anni, vive con un amico/coinquilino guascone e sfacciato, sogna di diventare scrittore e, per il momento, si accontenta di fare il portiere di notte in un albergo. Suo padre ha sessantadue anni, ha lavorato trent’anni alle poste ed è appena andato in pensione. E’ un genitore spaesato, che nel passaggio dalla vita lavorativa alla pensione si scopre fragile. Sua nonna ha ottantotto anni ed è confusa e sola dopo la morte del marito. I figli l’anno messa in una casa di riposo, ma lei non sa darsi pace: non capisce cosa ci faccia li, con tutti quei vecchi. Reagisce digiunando e ripiegando sui ricordi, fino a scappare. Tre generazioni, tre stagioni della vita, con Romain, figlio e nipote, che per ritrovare la nonna intraprende un viaggio che diventa per lui un debutto alla vita, all’amore e alla scrittura. Adattamento del romanzo omonimo di David Foenkino, diretto da Jean-Paul Rouve, autore di un cinema delicato che combina malinconia e sorriso e che ritaglia per sé il ruolo di direttore dell’hotel e padre putativo del protagonista, Les Souvenirs è una commedia intimista sospesa tra la morte e l’urgenza di vivere che si apre e si chiude con un funerale, tappa definitiva e inevitabile del rapporto dell'uomo con il tempo, così come occasione per sensibilizzare la memoria, per rievocare chi muore attraverso i ricordi personali.Eppure è un inno al tempo che passa, alla giovinezza e alla senilità e a tutto quello che scorre tra queste due stagioni della vita. Gli anglosassoni film così li chiamano feel-good movie, cioè film positivi, ottimisti, che causano un senso di benessere.
Mercoledì
11 Gennaio
American Pastoral
di Ewan McGregor
(USA, 2016)
Tratto dall’omonimo libro di Philip Roth, vincitore del Premio Pulitzer, American Pastoral è la storia di Seymour Levov, detto "lo svedese", un uomo che dalla vita ha avuto tutto: una famiglia armoniosa, affari soddisfacenti, una bella casa immersa nella natura delle zone rurali del New Jersey, ma il cui mondo va in pezzi quando la figlia, ormai adolescente, compie un attentato dinamitardo contro un ufficio postale uccidendo una persona e dandosi poi alla fuga. Come è possibile che una tragedia di questo tipo sia accaduta proprio allo svedese, un uomo che per tutta la vita ha incarnato il Sogno Americano? Dove ha sbagliato? Come ha fatto la sua adorata Merry a diventare la terrorista di Rimrock ? Nei cinque anni successivi Levov non si arrende, cerca in tutti i modi di tenere assieme quel che resta della propria famiglia e persino di riportare a casa la figlia, ma nell'ultima giornata descritta nel romanzo queste illusioni si dissipano definitivamente e le vite personali dei protagonisti vanno completamente in pezzi, mentre sullo sfondo le udienze dello scandalo Watergate scuotono gli Stati Uniti. Adattare per lo schermo un libro del genere, strutturato su più piani di narrazione ed elegantemente costruito a strati. sarebbe sfida impari per chiunque e non si può certo dire che Ewan McGregor, al suo esordio nella regia, abbia peccato di umiltà nel cimentarvisi. Per farcela, ha mirato alla semplificazione della struttura, il che fa del film uno spunto per leggere il romanzo.
Mercoledì
25 Gennaio
La casa delle
estati lontane
di Shirel Amitai
(Israele, 2015)
Siamo nei pressi di Tel Aviv, nel 1995. Tre sorelle, Darel che vive in Canada, Cali che vive in Francia, e Asia che vaga in cerca di se stessa e vuole partire per l'India, da tempo lontane tra loro e da Israele, si ritrovano nel villaggio natale di Atlit per vendere la casa di famiglia. I loro genitori, infatti, sono morti in un incidente e la casa è rimasta vuota. La sola che inizialmente oppone resistenza è la sorella maggiore, Darel; le altre due non vedono l'ora di chiudere la partita e di disporre di un po' di soldi per i loro progetti. Ma è la vecchia casa malandata e carica di ricordi che costringe le sorelle a fare i conti con il passato, a non sradicare i ricordi. Emblema di un luogo, Israele, che è insieme paradiso e inferno, crogiolo di vitali utopie e colpevoli rimozioni, la casa di famiglia è un essere vivente, che nasconde piccoli segreti e fantasmi ingombranti, su tutti quelli dei genitori, Mona e Zach. Attraverso le loro figure si consuma il balletto identitario delle figlie, e di Calì in particolare, tra autonomia e attaccamento, salto nel futuro e culto della memoria. La Storia con la “s” maiuscola entra in punta di piedi, da un accenno di dialogo o da un rigurgito televisivo, e solo nel finale dispiega la sua drammatica onda d'urto con il discor-so di Rabin e il suo epilogo tragico. Esordio alla regia di una cinquantenne con alle spalle una più che decennale collaborazione con Jacques Rivette, il film ha il suo punto di forza nelle tre interpreti e nella vecchia casa vicina al mare, con quel giardino inselvatichito.